Negli ultimi anni si sente molto parlare di cibo, ricette e alimentazione, con una particolare attenzione all’alimentazione sana.
Capita sempre più spesso che, oltre a ricette golose, si cerchino ricette semplici, con ingredienti naturali, light, e che le persone puntino a un certo benessere psicofisico quando mangiano.
Non si mangia per sopravvivere, si mangia per stare bene . qualcuno ha detto: siamo quello che mangiamo.
questo punto di vista, sembra normale che la psicologia si sia interessata all’alimentazione. Normalmente, quando pensiamo al legame tra psicologia e cibo la prima cosa che ci viene in mente sono i disturbi dell’alimentazione come anoressia, bulimia, obesità.
In realtà molti campi diversi della psicologia si sono interessati al tema. ma l’aspetto psicologico per me più interessante non è tanto l’aspetto clinico, ma indagare si indagano le variabili che influenzano la nostra percezione dei sapori, gli aspetti emotivi che entrano in gioco quando mangiamo certi cibi, il legame con lo stress, e anche i fattori sociali implicati nelle nostre scelte alimentari.
Non solo clinica, dunque: esiste anche la psicologia sociale del cibo: capire in che modo e in che misura il nostro ambiente sociale influenza come, quando e quanto mangiamo.
Ciò che sappiamo (o crediamo) essere sano, il desiderio di rimanere in forma, le nostre tradizioni familiari e culturali, e le aspettative sociali sono tutti fattori che influenzano le nostre scelte alimentari, quelle non patologiche che facciamo tutti i giorni.
Tutti questi fattori si aggiungono, naturalmente, alle nostre preferenze alimentari personali (per esempio io preferisco il cioccolato fondente, mentre mio fratello quello al latte), a scelte “forzate” dovute ad allergie e intolleranze, e anche alla disponibilità economica su cui possiamo contare.
Ma perchè a volte, anche quando sappiamo che cosa ci farebbe meglio mangiare, ci comportiamo diversamente? Perché a volte cediamo e mangiamo qualcosa sapendo che domani ce ne pentiremo? E’ chiaro che altri fattori, oltre al gusto, hanno un notevole peso.
L’esempio più immediato di influenza sociale, forse, è quello della pubblicità (tipi di comunicazione?)o dei media in generale.
Soprattutto negli ultimi anni, la spinta a condurre una vita sana non viene solo da iniziative del Ministero della Salute, ma anche dai media. Nonostante condividano, almeno in parte, lo stesso obiettivo, agiscono attraverso canali diversi. Ma in che modo si differenziano?
Le pubblicità progresso, su iniziativa del Ministero della Salute o delle organizzazioni sanitarie devono riuscire a modificare abitudini sbagliate già ben radicate. Per farlo sfruttano leve razionali: argomentazioni forti sostenute da ricerche scientifiche, (ma anche testimonial famosi sensibilizzati dai problemi!).
La pubblicità di marketing, invece, vuole stuzzicare la nostra curiosità in virtù del profitto aziendale. Per farlo sfrutta leve irrazionali: l'emotività, testimonial famosi, bisogno di conformismo o di ambizioni a status sociali più elevati, e così via.
Non dobbiamo però pensare che una sia meno efficace dell’altra. La pubblicità progresso colpisce meno persone ma ottiene risultati più duraturi nel tempo. La pubblicità di marketing di solito ha effetti temporanei, agisce su larga scala, e deve colpire con una maggiore frequenza.
Perciò, nonostante la spinta ad avere una maggiore attenzione per uno stile di vita sano venga da entrambi questi canali, organizzazioni sanitarie e media fanno leva su motivazioni e linguaggi diversi perché si rivolgono a persone diverse, ma soprattutto hanno obiettivi diversi
Certamente, del fatto che la pubblicità cerchi di influenzare i nostri comportamenti ne siamo consapevoli, almeno da adulti. Un tipo di influenza a cui solitamente non pensiamo, invece, è la facilitazione sociale (non capisco che cosa significa in questo caso facilitazione) : quando siamo insieme ad altri tendiamo a mangiare di più. Basta pensare all’ultima volta in cui abbiamo mangiato a casa da soli e paragonarla a una qualsiasi cena con gli amici. Quando siamo in compagnia di un’altra persona arriviamo a mangiare anche il 28% in più di quanto faremmo da soli. E l’effetto è ancora più evidente se i commensali diventano due (+41%), quattro (+53%), sei (+71%) o più (+76%). Insomma, in gruppo è più facile aver bisogno di un buon digestivo invece che tornare a casa con la fame!
Perchè quando siamo in compagnia mangiamo di più? Perchè abbiamo più tempo e mangiamo più lentamente, perchè siamo a nostro agio, ma anche perché siamo meno concentrati su cosa e come stiamo mangiando. Infatti si tende a mangiare di più insieme ad amici e familiari rispetto a quando siamo in compagnia di colleghi o di sconosciuti.
Questa distinzione è stata lo spunto per arrivare a definire la condivisione del cibo come una forma di comunicazione. Anche i dirigenti aziendali sono consapevoli che i migliori contratti si stipulano al ristorante, o comunque mangiando cose particolari.
Quando siamo in compagnia di sconosciuti, vedere quanto e come mangiano ci permette di farci un’idea preliminare della loro personalità, di dare un primo giudizio. Questo vale anche per noi: come ci comportiamo a tavola è uno dei modi con cui ci “presentiamo” agli altri. Infatti le donne tendono a mangiare meno di quanto farebbero soprattutto quando nella stessa stanza c’è un uomo attraente che non conoscono, perché tutti reputiamo che strafogarsi di cibo sarebbe poco femminile.
Se un uomo è in compagnia di un altro uomo, invece, non si fa questi problemi. Anzi, tende a mangiare di più per un senso di tacita competitività ancestrale, perché appunto mangiare poco è “roba da donne”.
Ancora, quando siamo in compagnia di una persona che mangia poco, anche noi tendiamo a mangiare meno; quando l’altra mangia abbondantemente, anche per noi è più facile esagerare.
Un altro esempio di quanto il cibo sia in grado di comunicare: quando conosciamo una persona vegana o vegetariana, ci aspettiamo che abbia particolari principi morali e una certa personalità. E’ come se alcune qualità del cibo venissero trasferite anche alla persona che lo sta mangiando.
“Siamo ciò che mangiamo” può voler dire significa anche questo: attraverso il cibo riusciamo a comunicare qualcosa di noi e giudicare gli altri.